Nuove vampe nella grande fiamma. La nostra storia nella storia
Oggi vi racconto una storia. Una storia che arriva da molto lontano nel tempo e nello spazio, eppure, una storia che è con noi della famiglia Schiff da quattro generazioni.
E’ la storia di Francesco Schiff.
E’ la storia di quel ragazzo che noi tutti abbiamo conosciuto solamente in fotografia e attraverso qualche racconto della nonna Vittoria ma, più ancora, dai racconti delle nostre mamme. Portatrici di storie raccontate dalla sua mamma, la nonnabis, Luigia, il cui cuore, scrigno prezioso, serbò sempre amore, ricordo e speranza…
Racconti di racconti… racconti di un ragazzo partito per la guerra e mai più tornato. Scomparso e disperso chissà dove in quella Russia gelida ed immensa.
Una terra lontana dal suolo conosciuto e amato del Friuli. Lontana dalla propria terra che è legame, certezza, radici. Lontana dalla propria Patria. Lontana, così lontana, che diviene difficile giungerci anche solo sulle ali dell’immaginazione.
Questa mia ricerca inizia quando ero bambina. Probabilmente le poche e confuse storie su di lui, le quasi insistenti tracce in casa, e quel racconto che lui, fratello del nonno Giovanni, “non è più tornato”, hanno svegliato la mia curiosità.
Cosa è accaduto là, così lontano?
Quali tracce hai lasciato per noi?
Non puoi non aver lasciato neppure un segno, un pensiero, una screziatura nella bianca e gelida neve, una scia che fosse solamente per noi.
Quanto hai pensato a chi amavi? … e, al dopo… a chi sarebbe arrivato dopo… ci hai mai pensato Francesco?
Quante domande, nessuna risposta.
Nella testa pochissimi indizi, nel cuore la certezza che di lui avrei, un giorno, saputo di più.
La sua delicata personalità che emergeva dai racconti, ne faceva un ragazzo – aveva solamente 24 anni – non adatto alla guerra.
Ecco, se di qualche uomo si possa mai dire che sia adatto alle battaglie, al combattimento, alla guerra, al fronte, di lui, certamente non si può dire.
Era nato a maggio del 1916, il giorno 25 per la precisione, segno zodiacale gemelli…eh sì…se fossimo oggi il segno zodiacale lo guarderemmo e, magari, interrogando un po’ le stelle, riusciremmo ad avere di lui qualche nota caratteriale in più. Potremmo, magari, immaginarlo come un sognatore, un amante della libertà o, comunque, non incline ai legami, leggiadro come può esserlo Mercurio, messaggero degli dei.
E così si contrapponeva alla scaltrezza ed alla paradigmaticità di suo fratello Giovanni, di due anni più piccolo, compagno di vita, fratello minore che “al’è simpri stât une liğhere” – lo chiamava veramente così – nato il 7 aprile del 1918, “morôs e nuvič” di Viturine, le Boarie.
Due fratelli, personalità diverse, sogni?…vita?…destino?…sconosciuti…
E’ il più piccolo, Giovanni, che parte per primo.
Fisico asciutto e gambe come “doi sghirets” – così le chiamava – supera subito la visita di idoneità.
Si sposa e parte con i primi battaglioni. Lui e la giovane moglie, attendono una bambina. Ad agosto del 1940 nascerà Maria Lina, la zia Mariolina.
Francesco alla visita militare è stato riformato: carenza nelle misure del torace, questo il “terribile verdetto”.
Terribile?…per chi?…Non certo per sua madre, la nonnabis si rasserena. Quel figliolo resterà a casa, resterà a Porpetto, lo avrà vicino a sé. “Gjovanin colôr di rose” al è lât vie lontan, Checco “al reste chaise, par grazie dal signor”.
Passano circa due anni, due anni in cui Francesco svolge la sua vita tra la famiglia, il paese, i piccoli lavori.
L’Italia è in guerra.
Quella guerra che doveva essere “lampo”, quella guerra che doveva essere solamente “figurativa” affinché ci si potesse sedere al tavolo delle trattative, quella guerra, si era già trasformata in miseria, fame, sospetto e terrore in Patria ed era diventata il conteggio di migliaia di vittime, prigionieri e, brucianti sconfitte, al fronte.
“L’Italia doveva farsi trovare impegnata quel tanto che bastasse a dire che anch’essa aveva combattuto lealmente e godeva il diritto di sedersi al tavolo dei vincitori”.
Non fu mai così.
E’ ormai il 1942, il fronte più arduo, pazzesco, inammissibile, smisurato e pericoloso ha già fatto migliaia di vittime.
Là dove dovrebbe esserci una ritirata si decide che il CSIR – Corpo di Spedizione Italiano in Russia (in territorio sovietico dal 1941) sarà integrato e supportato.
Siamo nel mese di aprile del 1942, quando le esigenze del fronte russo richiedono l’invio di altri due corpi d’armata italiani che, assieme allo CSIR, furono riuniti nell’8^ Armata o Armata Italiana in Russia (ARMIR).
Schierata a sud, nel settore del fiume Don, l’8ª Armata assieme alla 2^ armata Ungherese, alla 3ª Armata rumena avrebbe dovuto coprire il fianco sinistro delle forze tedesche che in quel momento stavano avanzando verso Stalingrado.
Per creare l’ARMIR vengono richiamati tutti coloro che rientravano dai fronti di Grecia, Albania o dal fronte dell’Africa settentrionale e vengono richiamati – anche – tutti quei ragazzi che fino a quel momento erano risultati “non idonei”.
Adesso erano tutti perfetti!…la Patria ha bisogno delle loro gambe, del loro torace, delle loro braccia e, soprattutto, la Patria ha bisogno del loro cuore, del loro coraggio.
La Patria avrà tutto!
Francesco è richiamato.
Francesco è idoneo.
Francesco è – finalmente – fiero di poter essere un uomo come tutti quelli perfetti per la leva, la guerra, la vita.
Francesco è un ragazzo e non immagina quanto uomini si possa essere, pur non avendo il torace delle regolamentari misure. Lo scoprirà.
Francesco parte.
L’unica fotografia lo ritrae con dei commilitoni alla stazione di Firenze.
E’ il mese di giugno oppure luglio del 1942. L’ARMIR è creata.
La lontana Russia è la meta.
“Mandi mame, o voi. Tenti cont”.
Qualche anno fa, complice l’avvento dell’era digitale, di internet e, prima ancora, complice la caduta del muro di Berlino, la “Perestrojka” che ha, letteralmente, aperto gli archivi degli inviolabili segreti del regno degli Zar, antichi e moderni, le mie ricerche hanno iniziato ad essere più concrete.
Se le mie domande non riuscivano ancora ad avere risposte, è pur vero che avevano iniziato a tracciare un percorso, segnare strade e date.
Ho iniziato a saperne un po’ in più grazie anche ad un gruppo su Facebook di cui faccio parte e che è dedicato all’Armir e che è nato dal lavoro del giornalista Rai Pino Scaccia.
Ho iniziato a unire i puntini. Ho finalmente capito (sì, di battaglie, battaglioni, schieramenti non ci capivo nulla) un po’ in più cosa è accaduto.
Con grande emozione, passo dopo passo, e con grande emozione ed incredulità per ogni passo compiuto, scrutando orizzonti sconosciuti, solitari, freddi e immensi, scoprendo cameratismo, vita da battaglia e vivendo le storie di tanti ragazzi, ho ritrovato Francesco.
Se non altro la memoria concreta e reale di quel che ha vissuto lui.
Questa storia, quindi è tutta vera.
Il suo reparto, il 120° Reggimento Artiglieria prima del suo arrivo ha fatto parte della 3ª Divisione celere “Principe Amedeo Duca d’Aosta”, partito all’inizio del 1942, febbraio col Primo Corpo di Spedizione Italiano in Russia. All’inizio fu alle dipendenze della 1ª Armata corazzata tedesca distinguendosi, unitamente al 6º Reggimento bersaglieri, durante l’azione che respinse con successo una pericolosa puntata offensiva delle forze corazzate russe fra Pavlograd (Pawlograd) e Slarvinca.
Il 15 marzo 1942 il 120º Reggimento artiglieria passò effettivo alla 3ª Divisione celere “Principe Amedeo Duca d’Aosta”.
Nel luglio 1942 il reparto viene inquadrato nella neo costituita ARMIR, sempre inserito nel XXXV Corpo d’Armata (ex CSIR).E’ qui che arriva l’Artigliere Francesco Schiff.
Il 12 luglio 1942 il 120º partecipò, con altri reparti, alle operazioni per la conquista del munitissimo caposaldo di Jvanovka e dell’importante bacino carbonifero di Kransij Lutsch. La divisione “Celere” ebbe quindi il compito di eliminare la testa di ponte russa di Serafimovič.
Il 30 luglio mentre si procedeva allo schieramento del 120º, i russi sferrarono un potente attacco sostenuto da 24 carri T-34 e 16 T-28 con l’obiettivo di sorprendere le nostre truppe. L’attacco colse di sorpresa il II/120º da 75 che riportò notevoli danni mentre la batteria controcarri ed i pezzi appena schierati del I/120º da 100 e il III/120º da 75 aprirono il fuoco contro la formazione corazzata avversaria.
Il fuoco sempre più efficace del 120º fu tale da tallonare incessantemente i carri in movimento, dalle minime distanze (30–40 m. circa) ai 300 metri ed oltre, costringendoli, per le durissime perdite subite, a rinunciare alla lotta e a ritirarsi velocemente. L’importante testa di ponte di Serafimovich era conquistata.
Il 22 agosto, per quella che fu definita la battaglia di arresto sul Don, sulle alture di Jagodovij rifulse il valore degli artiglieri del 120º e particolarmente del III gruppo che fu costretto a sparare con alzo a zero alle minime distanze.
Nel dicembre il nemico attaccò in forze. Dal 16 al 19 dicembre il nemico, violentemente attaccato dai bersaglieri e martellato dal preciso tiro del 120º, non poté condurre a termine la sua manovra di accerchiamento, tuttavia alle spalle dello schieramento italiano si ebbero pericolose infiltrazioni: lo stesso comandante del 120º, tenente colonnello De Simone, fu costretto a difendersi con le armi. Il 19 dicembre il nemico, per quanto contrastato dalla divisione “Celere”, riuscì a completare l’accerchiamento del XXXV Corpo d’Armata che nella notte del 20 ricevette l’ordine di ripiegare.
Gli artiglieri del 120º si sacrificano ai pezzi nel vano tentativo di permettere ai reparti del 3º Reggimento bersaglieri e 6º Reggimento bersaglieri di sganciarsi.
Il posto comando di reggimento con il suo comandante ripiegò per ultimo, ma l’esigua colonna fu ben presto raggiunta e sopraffatta dal nemico. Il comandante, prima di cadere prigioniero, bruciò la bandiera per non lasciarla al nemico il 21 dicembre 1942, presso Meskov. Il ripiegamento procedette sotto l’incalzare del nemico finché il 27 dicembre, esaurito il carburante, si impose l’abbandono degli otto pezzi rimasti.
“Ecco, Simona Letizia Ilardo, considera questi giorni, i combattimenti in ritirata, quando il giorno 25 dicembre, il giorno di Natale, Francesco non risponde più all’appello…con molta probabilità, è rimasto qui.”
Sì, Francesco è rimasto qui, il giorno di Natale. Qui nella gelida neve, qui facendo battere fortissimo di coraggio il suo cuore.
Non si sa dove sia sepolto, come lui migliaia di ragazzi.
Li conserva la terra, sono nel sibilare del vento e sono in quei fiori che, ogni primavera, colorano l’immensa steppa.
Di lui non abbiamo nulla, eppure questo ragazzo, che da 46 anni mi tiene compagnia e di cui, tra centinaia di volti scrutati in foto, non ho mai trovato somiglianza, ha lasciato per noi un’argentea screziatura nella bianca e gelida neve, una scia che fosse solamente per noi.
Il 120° Reggimento Artiglieria è stato insignito, della Medaglia d’Argento al Valor Militare:
«Nuova unità costituita durante la guerra e saldamente forgiata per la guerra, dava, fin dal primo contatto con l’agguerrito e feroce nemico, ampie prove della sua capacità operativa, contribuendo al mantenimento di un importante e delicato settore. Passato con gli altri reparti della propria G.U. alla travolgente offensiva, sbaragliava con la sua azione di fuoco, sempre immediata ed efficace, forti retroguardie nemiche. Appoggiava quindi l’azione dei bersaglieri nell’aspra battaglia di Jvanovka il cui possesso apriva il passo alla conquista di un vasto bacino minerario. Trasferitosi con rapida marcia dal Donets al Don, contribuiva potentemente alla eliminazione di una munitissima testa di ponte nemica, annientando tra l’altro, in epico duello tra carri armati e cannoni, una intera brigata corazzata. Chiamato a nuova prova contro masse avversarie transitate sulla destra del Don in delicato settore, col fuoco concentrato dei suoi pezzi contribuiva decisamente a stroncare l’offensiva del nemico, che rinunciava definitivamente ad ogni velleità di prosecuzione.
(al 120º Reggimento artiglieria della 3ª Divisione celere “Principe Amedeo Duca d’Aosta”)»
— Fronte Russo, marzo – ottobre 1942
E siccome la bellezza della vita, le leggi universali ed il mondo ci insegnano che un’onda di bene, genera ancora bene, il 120° Reggimento Artiglieria – distrutto e sciolto nel dicembre 1942 viene ricostituito nel 1975 e nel 1976 si distingue ancora una volta e riceve la Medaglia di bronzo al valor dell’esercito.
«Nell’immane sciagura sismica che colpiva il Friuli, interveniva tempestivamente in soccorso delle popolazioni colpite, prodigandosi con coraggio e fraterno slancio di solidarietà umana nell’aiuto ai feriti ed ai superstiti e nella rimozione delle macerie. L’apporto fornito riscuoteva l’apprezzamento e la gratitudine delle Autorità e della popolazione.
(al 120º Gruppo artiglieria da campagna semovente “Po” della Brigata corazzata “Pozzuolo del Friuli”)»
— Friuli, 6 – 15 maggio 1976
“Nuove vampe nella grande fiamma” questo è il motto del 120°Reggimento Artiglieria.
Questo è il loro grido di battaglia; queste le loro parole di incoraggiamento.
Queste le parole incise a voce nel loro cuore.
Noi, suoi discendenti, siamo vampe di quella fiamma.
2 commenti
Anna Bellini
Complimenti a Simona Letizia Ilardo, ‘cantastorie’ ardente come la vicenda che racconta in questo pezzo. Precisa nella raccolta di informazioni che ci trasmette con grande grazia e intelligenza.
Simona Letizia Ilardo
Il mio grazie è dal cuore…Grazie Anna! Una grande lettrice come te, appassionata ed attenta, che così commenta, vale quanto un premio.